- Il caso Contrada
Arrestato il 24 Dicembre 1992, Bruno Contrada veniva condannato dal Tribunale di Palermo a 10 anni di reclusione e a 3 di libertà vigilata, per concorso esterno in associazione mafiosa.
La Corte d’Appello di Palermo nel 2001 ribaltò il verdetto dei giudici di primo grado e assolse l’imputato.
Un anno dopo, la Corte di Cassazione decideva di annullare la sentenza di assoluzione e riaprire il caso: venne disposto un nuovo giudizio avanti alla Corte d’Assise di Palermo che, come poi confermato in Cassazione, infliggeva una condanna a 10 anni di reclusione a Contrada per concorso esterno.
Nel 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ricorso n. 66655/13) condannava lo Stato Italiano a risarcire Bruno Contrada per i danni morali e le spese processuali da lui sostenute poiché, secondo i giudici europei, egli non poteva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dal momento che, all’epoca dei fatti, il reato non era codificato, essendo il concorso esterno, secondo la Corte, un reato di creazione giurisprudenziale, anziché, come inteso dal giudice italiano, il frutto del combinato disposto degli artt. 10 e 416 bis c.p.. Pertanto, all’epoca dei fatti esso non sarebbe stato ancora contemplato dall’ordinamento giuridico.
La sentenza di Strasburgo motivava la sua decisione con il principio giuridico contenuto nell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, per il quale “Nulla poena sine lege” (niente pena senza una legge che la preveda).
Il 6 Aprile 2020, a titolo di riparazione per la “ingiusta detenzione” patita da Contrada nel procedimento penale, la Corte d’Appello di Palermo liquidava in suo favore la somma di 667 mila euro.
Recentemente, il 23 maggio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata ancora una volta sulle vicende che hanno interessato Bruno Contrada.
La questione sottoposta ai giudici europei riguardava alcune conversazioni telefoniche dell’ex dirigente del Sisde, intercettate nel 2018, nell’ambito delle indagini sull’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, nelle quali la Procura Generale di Palermo aveva intercettato alcuni ex agenti di Polizia, tra i quali anche Contrada, il quale non era né indagato né imputato, e che presentò ricorso alla Corte Europea (domanda n. 2507/19).
2. La sentenza Cedu
I giudici di Strasburgo hanno dato, ancora una volta, ragione a Contrada, condannando l’Italia a un risarcimento morale di novemila euro.
Infatti, secondo la Corte il nostro Paese ha violato il diritto al rispetto della vita privata dell’ex poliziotto quando, nel 2018, ha proceduto all’intercettazione e alla trascrizione delle sue conversazioni telefoniche, dato che egli non era indagato e tanto meno imputato.
I magistrati scrivono che “la legge italiana non contiene adeguate ed effettive garanzie per proteggere dal rischio di abuso le persone destinatarie di queste misure. Persone che, non essendo sospettate di essere coinvolte in un reato o accusate di un reato, rimangono estranee al procedimento”.
Secondo la Cedu, in particolare, queste persone non hanno la possibilità di rivolgersi ad un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un effettivo riesame della legalità e della necessità della misura. Di conseguenza non possono ottenere un’adeguata riparazione se i loro diritti sono stati violati.
Alla luce di queste “carenze”, per la Corte, l’Italia ha violato l’articolo 8 della Convenzione, secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.
La stessa Corte ha, invece, dichiarato irricevibile il ricorso di Contrada per la perquisizione che subì nell’ambito della medesima indagine, perché prima di rivolgersi a Strasburgo l’ex dirigente dei servizi segreti non ha fatto ricorso alle Autorità del suo Paese, requisito di ammissibilità per i ricorsi dinanzi la Cedu.