- CEDU: le origini e l’organizzazione.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata istituita nel 1959 con il compito di salvaguardare l’applicazione ed il rispetto, tra gli stati aderenti, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In particolare, i giudici della Corte sono competenti a dirimere “tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli” (art. 32 della CEDU).
Dunque, la Corte si fonda sulla Convenzione, un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa: in particolare, la Convenzione è fatta da 59 articoli e diversi protocolli che racchiudono una serie di principi e diritti fondamentali proprio in tema di diritti umani.
La Corte ha sede a Strasburgo ed è formata da un numero di membri pari a quello degli Stati contraenti (47), scelti tra giuristi che hanno “i requisiti richiesti per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie o giureconsulti di riconosciuta competenza” (art. 21 della CEDU). Tra i più noti giudici italiani si ricordano Vladimiro Zagrebelsky e Giorgio Balladore Pallieri, il quale ha occupato questo prestigioso incarico per 21 anni.
La Corte opera sia come Giudici unici che Comitati, composti da tre giudici, i quali hanno il compito di esaminare i ricorsi manifestamente irricevibili, ed ancora come Camere (Chambre) di sette giudici che hanno il compito di trattare in prima battuta il ricorso. La Grande Camera (Grande Chambre), di diciassette giudici, può essere chiamata a pronunciarsi in casi eccezionali (ad esempio, gravi problemi di interpretazione della Convenzione).
Com’è evidente, la Corte riveste un ruolo fondamentale nell’evoluzione e nella tutela dei diritti umani, essendo un organo giurisdizionale sovranazionale che può, come vedremo, anche sanzionare gli stati che hanno violato la Convenzione.
2. Le funzioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Innanzitutto, occorre precisare che la Corte può essere adita solo una volta che siano esauriti tutti i rimedi interni previsti dal diritto nazionale: questo è un passaggio fondamentale ed oggetto di numerose dichiarazioni di inammissibilità.
Il ricorso può essere interstatale (proposto da uno Stato) o individuale (proposto da una persona fisica, un’organizzazione o un gruppo di persone). È importante precisare che nel secondo caso il ricorso può essere proposto personalmente ma poi, il Regolamento di procedura stabilisce che il ricorrente sia rappresentato in giudizio o da un avvocato abilitato all’esercizio della professione in uno qualsiasi degli Stati contraenti e residente nel territorio di uno di essi, o da persona autorizzata dal presidente della Camera.
In ogni caso, è molto importante affidarsi ad avvocati specializzati sul tema poiché i ricorsi devono rispondere a specifici e numerosi requisiti, la cui inosservanza determina l’inammissibilità del ricorso stesso, atto definitivo e non soggetto ad alcuna impugnazione.
Nel concreto, per presentare un ricorso individuale occorre compilare un modulo scaricabile dal sito della Corte, specificare di aver esaurito le vie interne (condizione di ammissibilità) ed infine enunciare con chiarezza e precisione esattamente di quali articoli della Convenzione si denuncia la violazione. Appare interessante evidenziare che, a differenza di ormai tutti gli ambiti giuridici nazionali che si stanno adeguando sempre più ai depositi telematici, la Corte riceve i ricorsi tramite posta.
In casi di urgenza, il ricorso nel merito può essere proceduto da una c.d. rule 39, una richiesta di provvedimento provvisorio per chiedere alla Corte di intervenire immediatamente per interrompere la violazione di un articolo della Convenzione. Per esperienza, possiamo dire che questo strumento risulta veramente utile perché consente in brevissimo tempo al ricorrente di trovare un rimedio alla sua condizione inumana ed in violazione dei suoi diritti fondamentali.
Ricevuto il ricorso e valutata l’ammissibilità dello stesso, la Corte iscrive la c.d. “application” e lo assegna ad una sezione: inizia una fase di deposito di memorie tra Governo e ricorrente, a seguito di cui la Sezione assegnataria può anche deliberare.
Per un approfondimento:
3. I casi che hanno investito l’Italia.
Purtroppo il nostro paese è stato condannato diverse volte dalla Cedu per la violazione di alcuni articoli della Convenzione, con un rilevante danno economico per tutto lo Stato, condannato, infatti, anche al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente.
Non possono essere citati tutti i casi che hanno interessato l’Italia ma risulta interessante selezionarne alcuni, connotati da aspetti particolari.
Nel caso Sy vs Italia, ad esempio, il nostro Stato è stato condannato per la violazione della CEDU con riferimento all’art. 3 (proibizione di trattamenti inumani o degradanti), violazione dell’art. 5§1 (diritto alla libertà ed alla sicurezza personale), dell’art. 5§5 (diritto ad un risarcimento), dell’art. 6§1 (diritto da un giusto processo), dell’art. 34 (diritto ad un ricorso individuale) poiché aveva permesso la detenzione in carcere di un paziente psichiatrico, sottoposto a misura di sicurezza in REMS, ma detenuto per lungo periodo comunque in carcere.
Il tema delle persone detenute con problemi psichiatrici è, purtroppo, molto attuale: sono, infatti, numerose le persone affette da patologie psichiche la cui condizione risulta incompatibile con la detenzione e che sono state formalmente trasferite nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ma che continuano a rimanere in carcere per assenza di posti in queste strutture, con danni enormi ed evidenti ed aggravamenti della loro patologia.
Come Studio abbiamo, peraltro, assistito una persona detenuta per lungo tempo nonostante la sua condizione di evidente incompatibilità con l’ambiente carcerario e, per di più, nonostante la revoca formale dell’Autorità Giudiziaria della misura carceraria con conseguente trasferimento in REMS. Proprio in quel caso, peraltro, il ricorso urgente e provvisorio ha portato in poco tempo al trasferimento dell’Assistito dal carcere ad una struttura adeguata.
Un altro caso importantissimo e su un tema, quello carcerario, purtroppo sempre foriero di violazioni della Convenzione risulta essere quello di Torregiani vs Italia: in quel caso, nel 2013, la Corte – con decisione presa all’unanimità e con una sentenza definita pilota – ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione. In particolare, la violazione aveva ad oggetto il tema, ancora attualissimo, del sovraffollamento carcerario: in quel caso, infatti, i trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute, riguardavano la detenzione in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.