Introdotti originariamente dalla L. 154/2001, gli ordini di protezione contro gli abusi familiari costituiscono uno strumento di notevole rilevanza dell’ambito della tutela contro la violenza domestica.
Oggi sono disciplinati dagli artt. 473-bis.69 e seguenti del codice di procedura civile, che ne prevedono i presupposti di applicazione anche in pendenza di procedimenti di separazione o divorzio.
Secondo il dettato codicistico, il requisito per l’emissione dell’ordine di protezione è una condotta del coniuge o di altro convivente che sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale e/o alla libertà dell’altro convivente ovvero un comportamento che possa arrecare pregiudizio a un minore.
Nei casi di urgenza, il giudice può adottare immediatamente l’ordine di protezione, ma di regola gli è demandato lo svolgimento dell’attività istruttoria, potendo il medesimo procedere all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, assumere sommarie informazioni da persone informate sugli avvenimenti e disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli.
All’esito del procedimento, ove ravvisi la fondatezza delle allegazioni, il giudicante può disporre la cessazione della condotta pregiudizievole e l’allontanamento dalla casa familiare.
Ove occorra, inoltre, può imporre il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dal beneficiario e l’intervento dei servizi sociali del territorio.
Il contenuto del provvedimento di protezione di natura civilistica, quindi, risulta sostanzialmente coincidente con la misura che può essere disposta dal giudice penale.
Venendo alla disamina delle pronunce di merito e di legittimità che si sono susseguite, va evidenziato che l’adozione di uno dei provvedimenti in rassegna impone una delicata valutazione delle questioni sottese.
La Cassazione ha stabilito che il provvedimento può essere legittimamente disposto anche in assenza di una dettagliata descrizione di tutti gli episodi di violenza, quando vi siano gravi indizi desumibili dai referti medici, da altri elementi di prova e dalle dichiarazioni della persona offesa (Cass. Pen. n. 15846/2019),
purché queste risultino congruenti, pacate, circostanziate nel tempo e nello spazio, nonché immuni da intenti calunniatori o vendicativi (Cass. Pen. n. 22944/2024).
Inoltre, debbono essere valutati criticamente anche gli elementi di segno contrario offerti dalla difesa (Cass. Pen. n. 27835/2016).
In proposito è quindi opportuno considerare che gli elementi forniti a suffragio della pretesa avanzata debbono essere adeguatamente ponderati. Analizzando la giurisprudenza, è possibile delineare le principali motivazioni che hanno condotto al rigetto dell’emissione dell’ordine di protezione.
Tali ragioni sono legate non soltanto all’insufficienza del complessivo quadro indiziario, ma anche alla valutazione del contesto familiare complessivo, alla cessazione spontanea delle condotte e/o all’assenza di attualità del pericolo.
Intanto, il giudice deve motivare in modo specifico e congruo circa la sussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari (Cass. Pen. n. 23833/2016).
Ove, per esempio, il resistente risulti già destinatario della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, al giudice civile altro non resterà che rigettare la richiesta formulata in tal senso.
Inoltre, il giudicante deve procedere ad un’analisi complessiva del contesto familiare e delle dinamiche relazionali tra i coniugi, specificando che non integrano i presupposti per l’emissione dell’ordine di protezione episodi di violenza che, pur reiterati, si inseriscono in un contesto di reciproci litigi e tensioni coniugali dovuti a specifiche cause contingenti, quando manchi il requisito della sopraffazione sistematica di un coniuge sull’altro (Cassazione penale n. 24915/2023).
Ancora, un elemento significativo che può portare al rigetto dell’istanza è la volontaria cessazione delle condotte violente da parte del soggetto, dimostrata ad esempio dall’autonomo allontanamento dalla casa coniugale prima della denuncia e dall’assenza di successive condotte illecite.
Come evidenziato dalla Cassazione penale n. 25378/2023, il giudice deve procedere ad un vaglio complessivo e approfondito di tutti gli elementi probatori disponibili, inclusi quelli che possono dimostrare il superamento della situazione di conflitto.
La finalità della misura civilistica è, quindi, quella di reagire all’abuso familiare non nella prospettiva di una futura sanzione, ma attraverso un intervento che si esaurisce in una misura il più possibile rapida e in senso lato cautelare, che possa assicurare l’immediata interruzione dell’abuso domestico e la riduzione dei rischi di reiterazione della violenza.
L’ordine di protezione è dunque ben lontano dall’avere connotati punitivi, come la Cassazione si è trovata ripetutamente a ribadire (Cass civ 208/2005, Cass civ 625/2007).